“Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto”
(Orlando Furioso – Ludovico Ariosto)
Affrontò la solitudine dei deserti di ghiaccio e il clangore delle città malfamate, le torture della lontananza e gli attacchi della follia, le ferite delle parole e il sangue delle lame. Ma ne era sempre uscito vincitore: grazie a Calliope, che era stata la sua salvezza in ogni circostanza, la via di fuga da ogni pericolo mortale; il cavaliere sentiva di essere invincibile con la sua arma in mano.
Infine, quando si ritenne pronto, si presentò al castello della Signora, a offrire a Lei i suoi servigi, a donarle ciò che di più caro e prezioso aveva: la sua Calliope.
Ma la Signora rifiutò.
Era stato tutto inutile: le battaglie e le ferite non avevano senso, l’armatura e il suo destriero non erano bastati, persino la sua spada non era stata efficace; eppure, Calliope era la sua unica arma, la sua unica ricchezza. Così, il cavaliere che aveva vinto ogni battaglia si ritrovò sconfitto: una sola volta, ma fu quella decisiva; vinte le battaglie, ma persa la guerra.
Il cavaliere sconfitto non si scompose. Si volse e se ne tornò nella radura e lì, dove la Signora non poteva vederlo, si spogliò dell’armatura e, ancora in sella ad Ippocrene, prese la sua Calliope e si trapassò il petto, indegno di vivere se privato della stessa ragione di vita.
Così, l’ultimo dei cavalieri morì trafitto dalla spada di un cavaliere.
Mario Iaquinta
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