"Benvenuto in mia casa. Entrate e lasciate un po' della felicità che recate"
(Dracula)

domenica 9 settembre 2012

Quella volta che non ho visto De André

Molte persone hanno l’abitudine di ascoltare lo stesso disco ogni volta che vivono un momento particolare, che si tratti di gioia, tristezza, commozione, ecc; conosco chi mette “The Dark side of the moon” dei Pink Floyd, chi ascolta Bob Marley e chi Dylan.
Il mio rituale invece è questo: metto su un DVD che, come è facile intuire, è di De André: “Fabrizio De André in concerto”, registrato il 13 e 14 febbraio 1998 al Teatro Brancaccio di Roma durante il suo ultimo tour teatrale “Mi innamoravo di tutto”. Vedere e ascoltare l’artista che per me significa molto mi emoziona ogni volta, ma ogni volta affiora una specie di piccolo rimpianto: io quel concerto avrei potuto vederlo dal vivo.
Beh, non esattamente quello del Brancaccio, ma un altro, quello della prima data. Quel concerto si tenne il 13 gennaio in un cineteatro a 800 metri da casa mia, ma avevo dieci anni e naturalmente da solo non potevo andare. L’occasione sfumò.
Fu un peccato, per me che già allora conoscevo gran parte delle sue canzoni a memoria, forse non comprendendole pienamente, ma già per me molto affascinanti. Mi consolai dicendomi che avrei avuto altre occasioni in futuro, quando sarei stato più grande.
Fabrizio De André morì un anno dopo, nel gennaio del 1999. Da allora è stato un susseguirsi di riconoscimenti e omaggi, per me sono stati oltre dieci anni di un personalissimo culto al quale è mancato e mancherà per sempre il culmine che nel 1998 era a portata di mano ma che mi si sciolse fra le dita.
A distanza di dieci anni ho assistito al concerto-omaggio del figlio Cristiano, “De André canta “De André”, che si tenne in quello stesso teatro, ma è un “risarcimento” solo parziale.

Mi consolano un paio di pensieri: il primo è che lo stesso De André non ebbe mai modo di incontrare un suo idolo e ispiratore, “il suo maestro” Georges Brassens; il secondo lo condivido con un altro fan di De André, Wim Wenders: «In qualche modo ero felice che restasse questo remoto angelo, santo della musica italiana».




C’è qualcosa di romantico in un pensiero del genere: è giusto che il mito rimanga mito e non venga in qualche modo scalfito dalla visione della persona che lo incarna, perché il rischio di rimanere delusi nel vedere che si tratta di un uomo normalissimo come noi è elevatissimo.


«Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O Anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile.»
- Fabrizio De André


Mario Iaquinta
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