Nota: Questo è il racconto col quale ho partecipato al progetto "Roba da scrittori - L'ombra dell'ignoto" (maggiori informazioni qui) dal titolo "Le mie parole". È strutturato come un diario e dunque verrà aggiornato come tale.
Giorno 1
Ogni volta che apro gli occhi è una sfida, un inizio, una dichiarazione di guerra al Fato. Oggi più che mai; mi sono svegliato in una specie di cubicolo dalle pareti bianche, spoglio e spartano: il letto in un angolo, di fronte una dispensa con del cibo pronto da mangiare, un bagno riparato da mura sottili e nell’ultimo angolo una finestra, con sotto uno scrittoio su cui fanno bella mostra di sé un quaderno e una penna. Se proprio devo affrontare una specie di reclusione, almeno potrò farlo nel modo che mi piace di più: scrivendo.
«Le immutabili stagioni
mi pugnalano nel tempo
e perdono di me
le ore non viste
Sopravvivrò a me stesso?
Non voglio».
Giorno 10
Sto giocando con me stesso al gatto col topo: sto assottigliando questo quaderno senza concludere niente di buono. Lascio solo le pagine con questo strano diario, forse con l’idea di lasciare qualche segno di me. Ma, ora che ci penso, anche questa è un’idea stupida: chi mai leggerà ciò che scrivo? È strano: per tutta la vita ho scritto col timore che qualcuno mi leggesse e mi stroncasse i sogni, ora che vorrei farmi vedere nessuno poserà mai gli occhi sulle mie parole. Comincio a considerarmi ridicolo, passo dopo passo perdo la mia guerra e persino me stesso.
«Ma se al calar del giorno
la notte ci mancasse?
Se le tenebre codarde
volassero via come le rondini?
Potrebbe il mondo
vivere lo stesso?
Ed io, perso in un mondo dentro me,
potrei?»
Forse non sono male, ma non so più che pensare. Sento decisamente che qualcosa mi manca, e questa assenza mi colpisce con violenza. Sapessi almeno cosa fosse, maledizione!
P.S.
Come avrete potuto notare questo non è un racconto canonico, vira decisamente e pericolosamente verso il filosofico; è pieno zeppo delle cose che ho studiato. Ho sempre pensato che sia normale che quando si scrive qualcosa ci si inserisca dentro qualcosa che ci appartiene, ma al contempo ho altrettanto sempre sostenuto che quando metti quello che studi in quello che scrivi forse è il caso di smettere con una delle due attività. Visto che ho dovuto (almeno momentaneamente) smettere di studiare, ho deciso di continuare a scrivere. Regolatevi voi di conseguenza...
Questo racconto non ha vere e proprie dediche perché contrariamente a molte cose che ho scritto non ha una "Musa" di riferimento. È un racconto che nasce "a progetto", ma è un progetto di amici, quelli di "Roba da Scrittori" e del "Salotto Letterario Virtuale". Alle persone che ho conosciuto lì devo questo racconto e la parte di me che vi è connessa; se vogliamo rispettare l'etichetta potremmo dire che è dedicato a loro, ma per come la vedo io non ce ne sarebbe bisogno: questo racconto gli appartiene già.
Mario Iaquinta
Giorno 4
Ho provato a scrivere di tutto, ma temo che i risultati siano in realtà abbastanza mediocri: l’Ispirazione mi corteggia, mi ride in faccia e se ne va, l’Idea mi accarezza con una mano e mi schiaffeggia con l’altra; ed il fatto che ci sia una sola finestra non aiuta, per niente. È tutto uguale e identico a sé stesso: sui monti lontani il sole e la luna giocano a rincorrersi, muovendo le ombre e poco altro; di tanto in tanto il vento si prende gioco degli sparuti alberi fischiando qualche motivo malinconico. Scrivere così non è poi facile come credevo. Temo perderò la mia battaglia.
Giorno 6
Ho cominciato a strappare le pagine e a buttarle dalla finestra, gran brutto segno. Sento ogni strappo come una ferita sulla mia stessa pelle e l’inchiostro che spreco così mi dissangua. Devo fare qualcosa, ma quello che ho scritto è oggettivamente illeggibile:«Le immutabili stagioni
mi pugnalano nel tempo
e perdono di me
le ore non viste
Sopravvivrò a me stesso?
Non voglio».
Giorno 10
Sto giocando con me stesso al gatto col topo: sto assottigliando questo quaderno senza concludere niente di buono. Lascio solo le pagine con questo strano diario, forse con l’idea di lasciare qualche segno di me. Ma, ora che ci penso, anche questa è un’idea stupida: chi mai leggerà ciò che scrivo? È strano: per tutta la vita ho scritto col timore che qualcuno mi leggesse e mi stroncasse i sogni, ora che vorrei farmi vedere nessuno poserà mai gli occhi sulle mie parole. Comincio a considerarmi ridicolo, passo dopo passo perdo la mia guerra e persino me stesso.
Giorno 13
Ho bisogno di vedere altro, sto impazzendo! La Fantasia mi ignora, non vuole aiutarmi, il paesaggio sempre identico mi sta annichilendo. So che sembra ridicolo, ma le pareti sono bianche come un foglio di carta, forse posso provare a disegnarci qualcosa, non so.
Ho bisogno di vedere altro, sto impazzendo! La Fantasia mi ignora, non vuole aiutarmi, il paesaggio sempre identico mi sta annichilendo. So che sembra ridicolo, ma le pareti sono bianche come un foglio di carta, forse posso provare a disegnarci qualcosa, non so.
Giorno 14
Inutile, pure un po’ pacchiano. Ho provato a disegnare una sorta di prolungamento del paesaggio vicino la finestra. Disegno in modo semplicemente inguardabile. Sono sgorbi, scarabocchi. È addirittura peggio di prima. Non so come mi sia potuta venire in mente un’idea tanto ridicola: io scrivo, non disegno. Ridicolo, assolutamente ridicolo. Fortunatamente sono solo e sono l’unico a poter ridere di me stesso. Anche se nelle orecchie qualche risata giurerei d’averla sentita…
Giorno
18
Il quaderno è visibilmente
ridotto, sarà circa la metà, forse anche meno. Gli ultimi versi che ho buttato
giù recitano:«Ma se al calar del giorno
la notte ci mancasse?
Se le tenebre codarde
volassero via come le rondini?
Potrebbe il mondo
vivere lo stesso?
Ed io, perso in un mondo dentro me,
potrei?»
Forse non sono male, ma non so più che pensare. Sento decisamente che qualcosa mi manca, e questa assenza mi colpisce con violenza. Sapessi almeno cosa fosse, maledizione!
Giorno
22
È il mondo. Mi manca il mondo.
Impossibile da credere, ma penso sia proprio così. Altrimenti non posso
spiegarmi quel tentativo ridicolo col disegno sui muri. Solo ora capisco che è
il mondo - il mio mondo - a crearmi,
a plasmare me e quello che scrivo. E ora che un mondo non c’è? Che posso fare?
Giorno
25
Ho sempre creduto che fossero
le parole a creare il mondo. Forse non è così, non lo so più. O forse è
esattamente il contrario, sono le parole a dipendere dal mondo. Lo
dimostrerebbe il fatto che ora non riesco a scrivere niente di decente. Non
credo riuscirò a resistere a me stesso per molto ancora.
Giorno
27
Le pagine del quaderno sono
ormai pochissime, devo trovare un modo per preservarle. Forse posso riprovare
col muro: stavolta, invece di scarabocchiarlo, posso scriverci qualcosa, anche
se non ho idea di cosa.
Giorno
29
«Libertà – Amore – Silenzio –
Fantasia – Dolore – Coraggio – Felicità – Solitudine – Calore – Mancanza –
Dubbio – Sogno». Queste sono solo alcune delle parole che ho scritto sul muro.
È strano: è come se mi sentissi meglio, leggero come il mare che ha deciso di
ballare col vento in un abbraccio sottile. Non so se tutto questo abbia un
senso, in fondo sono solo parole,
eppure hanno cambiato qualcosa. Proverò a continuare.
Giorno
31
«Parola», sul muro ho scritto
“Parola”, ed il mio mondo è cambiato:
d’un tratto li ho visti, tutti i concetti che le parole ci mostrano, ed allora
ho capito che sono loro – le parole – la nostra più grande ricchezza. Disegnano
e creano il mondo che non vediamo, ma lo rendono tangibile, vero, vivo: non si
tocca l’Amore, il Silenzio o il Sogno, ma sappiamo cosa sono perché ci sono le
rispettive parole. Le parole sono tutto, e per chi vuole scrivere non c’è
tesoro maggiore.
Ho sentito un rumore, ho
visto che di fianco alla finestra s’è aperto un uscio che prima non c’era.
Porterò con me questo strano diario, per ricordarmi sempre che con le mie parole conquisto ogni giorno la mia libertà.
P.S.
Come avrete potuto notare questo non è un racconto canonico, vira decisamente e pericolosamente verso il filosofico; è pieno zeppo delle cose che ho studiato. Ho sempre pensato che sia normale che quando si scrive qualcosa ci si inserisca dentro qualcosa che ci appartiene, ma al contempo ho altrettanto sempre sostenuto che quando metti quello che studi in quello che scrivi forse è il caso di smettere con una delle due attività. Visto che ho dovuto (almeno momentaneamente) smettere di studiare, ho deciso di continuare a scrivere. Regolatevi voi di conseguenza...
Questo racconto non ha vere e proprie dediche perché contrariamente a molte cose che ho scritto non ha una "Musa" di riferimento. È un racconto che nasce "a progetto", ma è un progetto di amici, quelli di "Roba da Scrittori" e del "Salotto Letterario Virtuale". Alle persone che ho conosciuto lì devo questo racconto e la parte di me che vi è connessa; se vogliamo rispettare l'etichetta potremmo dire che è dedicato a loro, ma per come la vedo io non ce ne sarebbe bisogno: questo racconto gli appartiene già.
Mario Iaquinta
Nessun commento:
Posta un commento