"Benvenuto in mia casa. Entrate e lasciate un po' della felicità che recate"
(Dracula)

sabato 28 gennaio 2012

"Monologo" significa non aver nessuno con cui parlare


Quando sento la necessità di dire cose (pensieri, stati d’animo) che io non posso esprimere direttamente (vuoi per l’immagine di me che ho costruito, vuoi perché dette da me non sarebbero credibili), uso una scappatoia tipica di molti artisti: parlare attraverso un personaggio. Così, ogni tanto, con un atto di suprema crudeltà, creo un personaggio dalla vita brevissima che ha il solo scopo di fare un monologo. Li creo uno per volta, e non avendo nessuno con cui parlare, si abbandonano ai monologhi.

Oggi è la volta di Tristano, nome che significa “tumultuoso”, ma anche “triste”.

“Ascoltavo una canzone, di quelle metal che la gente associa al Demonio; sono cazzate, il Demonio non c’entra. Così come non c’entrava nell’ode A Satana di Carducci. Ci vuole un po’ di intelligenza, ma poi ci arrivi e lo capisci…
Stavo dicendo: ho ascoltato una di queste canzoni: stupenda, un testo splendido. Una frase, un verso mi ha colpito, e più o meno recitava così: “Non mi sveglierò per veder nascere una nuova rosa nera”. Io lo trovo sublime, e vorrei tanto averlo scritto io. Perché è quello che sono, quello che sono diventato. No, io non sono la rosa nera, io sono quello che non vuole svegliarsi per essa. Perché sono stanco di questo giardino asfittico che mi circonda, dove il colore muore e le uniche venature sono le gocce di sangue sulle spine. No, basta: un’altra rosa nera non la posso sopportare.
Non ho mai chiesto alla vita di rendermi felice, non sono mai stato così stupido. Non volevo l’Eden intorno a me: mi sarei accontentato di un giglio qua e là, gettati alla rinfusa in un anonimo verde insapore. Invece sono circondato dal buio di un roseto sporco, dove la luce perde ogni sostanza. Darei il mio sangue per colorare di rosso uno di questi fiori, per riuscire a spezzare questo umore monotono. Ma non c’è niente da fare: i semi cadono dal cielo grigio, e intorno a me solo rose nere.
Fra questi cespugli non vedo persone, immagini, ricordi, sensazioni, emozioni. Non c’è un amico che mi poggia la mano sulla spalla, mi indica una figura lontana lontana e mi dice: «Guarda, c’è Lei». No, non ci sono amici, e non c’è Lei, e forse è meglio così. Niente di tutto questo, solo nero.
E allora, signori miei, buonanotte. Io chiudo gli occhi per dormire. E non disturbatemi, perché ‘non mi sveglierò per veder nascere una nuova rosa nera’”.


Mario Iaquinta

martedì 24 gennaio 2012

L'esercito delle forchette

Correva l’anno 1789, e in Francia scoppiava qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la storia del mondo, la cosiddetta “Rivoluzione Francese”. Ovviamente in Italia qualcosa del genere non è mai accaduto, e gente come Mario Monicelli ne sentiva la mancanza.

In questi giorni c’è gente che parla di “rivolta” e “rivoluzione”: i “Forconi” che come garibaldini armati di automezzi risalgono la penisola bloccando le arterie stradali ed il conseguente trasporto. Chi si è lasciato “trasportare” da questi entusiasmi dice che finalmente il Sud s’è svegliato, che gli italiani non ci stanno più, ecc ecc.


In realtà, non è vero niente: nessuno s’è svegliato, nessuno si ribella davvero. Questa protesta non è romantica, come qualcuno crede o forse spera: è materiale e materialista più di ogni altra cosa. Tutto nasce per il prezzo della benzina, nessun ideale e nessuna idea, solo portafoglio e gasolio.

Con tutto quello che è successo in Italia in questi anni alla fine si protesta per la benzina: non importa che i nostri rappresentanti sono nominati per noi e non eletti da noi, non importa che alla Cultura è stata data un’altra decisiva mazzata: l’importante è che la benzina non superi i due euro.



Rivoluzione - Frankie Hi-NRG


Ma diciamo che ci potrebbe anche stare: in fin dei conti anche la gloriosa Rivoluzione Francese è nata così, per il prezzo del pane. Con una differenza: i francesi non hanno bloccato le strade di Parigi, ma sono andati a protestare a Versailles, sotto il naso del re; e poi se la sono presa con i palazzi del potere, attaccando la Bastiglia.

Perché protestare così non serve a molto, forse a niente: paralizzare in tempo di crisi una parte del paese, per giunta la parte che atavicamente soffre di più, colpisce maggiormente la povera gente piuttosto che il famigerato “potere” che sembra nato per andarci sempre contro: senza generi alimentari, senza benzina siamo costretti a fermarci, e così si ferma tutto. Si fermano attività e produzioni, e la cosa peggiora anziché migliorare. E i forconi diventano forchette.


Ancora una volta è il caso di citare Fabrizio De André, in una canzone di dieci anni fa, ma mai così attuale, “La Domenica delle Salme”, che chiude così:


“mentre il cuore d’Italia,
da Palermo ad Aosta,
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta”
:
e poi si ode il frinire dei grilli.

Ecco, questo è il “coro di vibrante protesta”

Mario Iaquinta

sabato 14 gennaio 2012

Lo "scrittore" Jones

Mi rifaccio a Fabrizio De André ancora una volta. Nella sua non vastissima discografia, emerge un personaggio particolare: è il suonatore Jones, una delle anime del cimitero di Spoon River che riemerge nell’LP “Non al denaro, non all’amore ne al cielo”. La particolarità di questo personaggio è che, al contrario degli altri defunti che ‘dormono sulla collina’, lui è una sorta di vincente: se n’è sempre sbattuto delle costrizioni che una vita regolare - quella per cui la società ci “programma” fin da bambini – impone a tutti noi, senza “mai un pensiero, non al denaro, non all’amore né al cielo”. Se l’è goduta fino all’ultimo, suonando il suo flauto (violino nella versione di Lee Masters) sempre e solo quando aveva voglia, per passione e piacere. Il risultato: 90 anni tondi tondi, “ricordi tanti e nemmeno un rimpianto”.




Credo e spero che per lo scrivere sia un po’ la stessa cosa. Solo che chi questo “mestiere” vuol farlo seriamente deve avere “metodo” – così dicono quelli bravi, o quelli che scrivendo ci campano. Ecco, io un “metodo” vero e proprio non ce l’ho, scrivo sulla scia dell’emozione e mi accorgo che se mi metto a tavolino a scrivere perché “devo”, mi escono fuori delle boiate pazzesche. Quando poi vado a rileggere, mi salta subito all’occhio ciò che ho scritto quando ero "ispirato" e ciò che ho scritto per “dovere”.

Forse, come tutte le cose del resto, la verità sta nel mezzo: se decidi di scrivere una storia bisogna pure che termini il racconto, senza procrastinare indefinitamente perché non hai “l’Ispirazione”. E allora lo “scrittore Jones” se ne farà una ragione: non sempre si può ‘giocare con la vita’, neanche quando c’è di mezzo la propria passione. Magari ci sarà qualche rimpianto, ma si spera che siano accompagnati da altrettante soddisfazioni.



Mario Iaquinta

giovedì 12 gennaio 2012

I libri e le donne


Alcuni giorni fa scrissi su Facebook questa frase:

“Una donna, per quanto bella sia, non vale un buon libro”.

Ne seguì una discussione “digitale” in cui (paradossalmente) i maschi sostenevano che avessi detto una castroneria galattica, mentre le donne mi davano grossomodo ragione (specificando che però il discorso vale anche al contrario, cioè che una donna può preferire un buon libro ad un bell’uomo; e per la cronaca, sono d’accordo).
Ora, prima che la gente mi appelli “sessista” o “misogino” preferisco fare qualche specificazione, e magari offrire qualche spunto di riflessione a qualche sciagurato che dovesse imbattersi suo malgrado in queste righe.


Il mio amore per i libri è viscerale: mi piace vederli tutti allineati nella mia libreria, mi piace accarezzarne il dorso, sfiorarne la copertina e toccare le pagine, annusarli quando sono nuovi ed hanno un odore caratteristico che non sono in grado di descrivere. Ora penserete che sono un pazzo, e forse avete ragione: però, potete stare tranquilli, non li lecco…
Ma soprattutto, mi piace leggerli. Chi ama leggere ama i libri, non c’è via di scampo. Anche perché il rapporto con un libro è semplice, diretto e profondo: se un libro è capace di emozionare lo si amerà nel vero senso della parola: si proverà affetto per quel mucchietto di pagine e ci sarà addirittura un certo dispiacere quando avremo finito di leggerlo.


Ma qui si potrebbe obiettare: “Sì, noi amiamo i libri ma mica loro ci possono amare. È un amore non corrisposto”. Sbagliato! Se c’è una cosa di cui non si può dubitare è l’amore dei libri verso di noi! Essi sono nati per noi, vivono per noi, e il loro unico scopo è quello di arricchirci e farci star bene: parafrasando Barthes, il loro unico scopo (perché per questo sono nati) è farci “godere”. Loro faranno tutto quello che possono per noi, e se non saranno all’altezza non si lamenteranno mai di essere accantonati perché insoddisfacenti. Con un libro ci si ama a vicenda, senza ipocrisie e falsi moralismi, spogli di rancori e capricci. E se non è vero amore questo…


Certo, non sono così cretino da non capire che una è un libro sono, quanto meno, su piani diversi. Ma ultimamente mi hanno dato molta più soddisfazione “Dracula” e “Notre Dame de Paris” che i tentativi (che come oramai sarà chiaro anche al lettore più idiota, non sono stati per niente felici) con le ragazze. Ora perdonatemi, ma voglio fare un po’ l’amore con “Il conte di Montecristo”.



Mario Iaquinta

domenica 1 gennaio 2012

Happy new ear

Finisce un anno e ne comincia un altro, e diventa quasi doveroso, per qualunque cretino che abbia uno spazio (misero) sul web, dire qualcosa. In realtà, non ci sarebbe molto da dire: di solito si afferma che l’anno appena finito era da schifo, mentre quello che sta arrivando si spera sarà straordinario, salvo diventare a sua volta uno schifo quando sarà finito.
Non è, come al solito, per fare il Bastian contrario, ma il 2011 è stato per me un buon anno. Oltre ad alcuni traguardi raggiunti (primo fra tutti la laurea, ma anche il successo del FRU o il primo “riconoscimento” della mia piccola carriera artistica, ad esempio), spiccano le nuove amicizie e quelle vecchie consolidate: scoperto e riscoperto legami con (ormai ex) colleghi d’università, una “sorella” tutta speciale, ragazzi che vogliono riaprire i microfoni di una radio, esploratori della galassia di Star Wars che mi chiamano “senatore”, un prof relatore fantasma, giornalisti e cinici, fotografi e santi, cortometraggi e...
Sull’altro lato della medaglia ci sono l’allontanamento di alcune persone, una forte ferita sul cuore, ombre scure e uomini in nero dagli attacchi gratuiti e senza senso, qualche lacrima nascosta, bocconi mandati giù lo stesso. Ma anche queste sono cose buone: se è vero che ciò che non ti uccide ti fortifica, queste delusioni sono state tutte mattoncini per la costruzione di un muro che si spera sia invalicabile.
Il problema non è il 2011, ma il 2012. No, non c’entrano niente i Maya e Giacobbo; è che un romantico come me vive sempre con un occhio al passato, cercando di nascondere così una folle ed inutile paura del futuro. Perché si sa quello che si lascia, non quello che si trova.


Arriverà, come sempre, quello che non si sta cercando?


Per questo “happy new ear”, “felice nuovo orecchio”: spero di avere un buon orecchio, di saper ascoltare i suggerimenti che la Vita sospira sottovoce, augurandomi che siano buoni consigli. Ma, molto più probabilmente, questo 2012 ci farà semplicemente più vecchi, e non più saggi. Sta a noi smentirlo.



Mario Iaquinta
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...