"Benvenuto in mia casa. Entrate e lasciate un po' della felicità che recate"
(Dracula)

venerdì 16 marzo 2012

Hai mai guardato la luna fra le dita?




NOTA: Questo è il racconto che avrei dovuto pubblicare la volta precedente. Sarà anche carino, romantico e sdolcinato, ma comincio già ad odiarlo. Perché nasce da considerazioni che forse non avrei mai dovuto fare, e credo stia facendo più danni che cose buone. Comunque, a voi il giudizio e la scelta di leggerlo o meno.


Nella remota regione di Zu viveva un vecchio eremita, considerato una vera e propria guida spirituale. Ma gli imputavano un difetto: era considerato scontroso da tutti, perché i governanti e i sapienti che andavano a chiedergli consiglio ricevevano risposte che non comprendevano, e quando questi insistevano il vecchio si irritava e li mandava via.
Un giorno un giovane contadino voleva interrogare il saggio, e di prima mattina si recò all’eremo; tuttavia, principi, notabili e governanti, scortati dal codazzo al loro seguito, gli imposero di cedere il posto. Il giovane, inerme di fronte a tale arroganza, non poté far altro che lasciare il passo, ritrovandosi infine a chiudere la fila. Quando giunse il suo turno gli fu detto che il saggio non riceveva più nessuno, trovando davanti a sé la porta chiusa. “Non è giusto” pensò, “sono qui da stamattina, così non me ne voglio andare!”. Il giovane si stese sull’erba a riposare, finché non sentì su di sé un’ombra: era il vecchio saggio.
«Giovanotto, cosa ci fai qui?»
«Oh, maestro, perdonatemi. Ero venuto qui stamattina per chiedere il vostro consiglio, ma sono stato costretto a cedere il posto ai signori. Volevo rimanere qui per domani mattina.»
«Dimmi ragazzo, cosa ti turba?»
«C’è una ragazza che temo di amare ed io…»
«Cosa significa “temere di amare”? Hai forse paura?»
«In realtà sì, maestro. Sono già stato ferito dall’amore in passato, ed ho timore di farmi male di nuovo.»
«E per questo hai paura? Mio caro giovane, evitare di innamorarsi per non stare poi male è come cavarsi tutti i denti per non soffrire poi di carie. Devi vivere le tue emozioni.»
«Ma ho paura… forse dovrei stare un po’ lontano, un po’ attento. Alzare qualche barriera per difendermi.»
Il vecchio saggio tacque per un po’, poi chiese: «Hai mai guardato la luna fra le dita?»
Il ragazzo fece una faccia strana, così il vecchio lo incoraggiò. «Guarda la luna, vedi come è bella? Adesso metti la mano davanti, e guarda la luna negli spazi fra le dita. Come la vedi?»
«Male, maestro.»
«Non è più così bella, vero?»
Il giovane annuì vigorosamente.
Il vecchio dunque riprese: «È così che funziona, ragazzo. Se tu metti dei limiti non potrai mai godere appieno della bellezza di qualcosa, di qualunque cosa. E se ci sarà da soffrire non devi spaventarti, anche questo ti aiuterà a crescere. Ora, mio caro giovane, entra dentro: magia qualcosa, prendiamo un tè insieme e raccontami di questa ragazza. Dormi qui, domani mattina tornerai da lei a dirle che l’ami. All’ombra della luna, che vedrete splendida e piena, perché le tue mani riempiranno le sue.»



Mario Iaquinta

domenica 11 marzo 2012

Fili

Come testimonia anche il titolo di questo blog, io ho un debole per la mitologia. Ebbene, narra il mito greco che la vita di un uomo è in mano al Fato - che è addirittura superiore agli dei – e che viene “gestita” da tre anziane donne: le Moire (o per dirla alla latina, le Parche), che come tutte le vecchiette di paese si dilettano nel tessile. Le tre graziose signore maneggiano dei fili, che tessono, filano e tagliano, i quali altro non sono che le vita degli uomini. Chi ha in dote dal Fato un filo lungo vive di più, al contrario di chi ha ricevuto un filo più corto.



Frankie Hi-NRG "Fili"


Io col Destino ho sempre avuto un rapporto strano: se c’è qualcosa di questo genere, in un modo o nell’altro ci va contro, non so se per divertimento o senso del dovere. Ma affidare la vita di un uomo nelle mani di tre vecchie forse non è stata la scelta migliore. Speriamo che queste tre arzille signore non si distraggano mai, arrivando addirittura ad intrecciare i fili…
Anche se, in realtà, credo che lo facciano continuamente. Tessono le vite degli uomini “come trame di un canto”, e fanno nodi così strani che è difficile sciogliere. È curioso come certe vite si intreccino, alcune dipendenti da altre, anche loro malgrado. Tiri un filo e se ne viene anche un altro, ne tagli uno per lasciare libero un secondo. E così, anche se non lo si vuole, le nostre vite si legano alle altre, i nostri passi sono condizionati da altri, e tutto per volere di tre signore che data l’età avanzata neanche ci vedono bene. Dunque ci vuol fortuna, e sperare che il nostro filo, qualora debba succedere, si intrecci in modo a noi utile e piacevole. E se ci leghiamo con un nodo, speriamo solo che ci vada bene.

P.S. Dovevo pubblicare un'altra cosa, un racconto, ma ora sentivo la necessità di scrivere queste cose


Mario Iaquinta

sabato 3 marzo 2012

Troppo cerebrale

"Il cuore ha le sue ragioni
che la ragione non conosce"
- Blaise Pascal

“Troppo cerebrale”: così cominciava una canzone di Samuele Bersani, la famosissima “Giudizi universali”. Quell’incipit nasceva dal fatto che Bersani aveva praticamente tutta la canzone in testa, ma non sapeva come iniziarla, ci pensava troppo… sì, troppo cerebrale.



Giudizi universali - Samuele Bersani


In quella canzone Bersani si lamentava di quante beghe si fa la mente in un rapporto facendo tacere il cuore, di quanto pensieri e preoccupazioni possano rovinare tutto, rompere l’incantesimo ed il sogno: “togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace!”.
Ora, lo so che sembrerà ridicolo, ma io sono così: “troppo cerebrale per capire che si può star bene senza calpestare il cuore”. O forse, siamo tutti un po’ così: ‘possiamo ma non vogliamo fidarci’, perché, come dice l’agente Smith in Matrix, l’essere umano riconosce come propria un’esistenza che contempli una certa sofferenza, e allora quando potremmo lasciarci andare e provare a volare rimaniamo sul ciglio a chiederci miliardi di volte se ne saremmo mai capaci, col risultato di rimanere dei tristi gargoyle che fissano immutati un cielo che si muove incurante sotto di loro.
E allora basta un niente e scoppia tutto, il “cerebrale” d’un tratto se ne va, ‘tira la maniglia della porta e va fuori’, portando con sé tutto ciò che avremmo voluto rimanesse. E così si ricomincia ad essere “troppo cerebrale”.


Mario Iaquinta
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