In questi giorni c’è gente che parla di “rivolta” e “rivoluzione”: i “Forconi” che come garibaldini armati di automezzi risalgono la penisola bloccando le arterie stradali ed il conseguente trasporto. Chi si è lasciato “trasportare” da questi entusiasmi dice che finalmente il Sud s’è svegliato, che gli italiani non ci stanno più, ecc ecc.
In realtà, non è vero niente: nessuno s’è svegliato, nessuno si ribella davvero. Questa protesta non è romantica, come qualcuno crede o forse spera: è materiale e materialista più di ogni altra cosa. Tutto nasce per il prezzo della benzina, nessun ideale e nessuna idea, solo portafoglio e gasolio.
Con tutto quello che è successo in Italia in questi anni alla fine si protesta per la benzina: non importa che i nostri rappresentanti sono nominati per noi e non eletti da noi, non importa che alla Cultura è stata data un’altra decisiva mazzata: l’importante è che la benzina non superi i due euro.
Perché protestare così non serve a molto, forse a niente: paralizzare in tempo di crisi una parte del paese, per giunta la parte che atavicamente soffre di più, colpisce maggiormente la povera gente piuttosto che il famigerato “potere” che sembra nato per andarci sempre contro: senza generi alimentari, senza benzina siamo costretti a fermarci, e così si ferma tutto. Si fermano attività e produzioni, e la cosa peggiora anziché migliorare. E i forconi diventano forchette.
Ancora una volta è il caso di citare Fabrizio De André, in una canzone di dieci anni fa, ma mai così attuale, “La Domenica delle Salme”, che chiude così:
“mentre il cuore d’Italia,
da Palermo ad Aosta,
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta”:
e poi si ode il frinire dei grilli.
Ecco, questo è il “coro di vibrante protesta”
Mario Iaquinta
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